24 luglio 2013

Fine corsa.


Cala il sipario. Dopo quattro anni di lunga, lentissima agonia, è morta a Prato la prima amministrazione comunale non di sinistra dal dopoguerra. Probabilmente anche l’ultima.
Quattro anni di inutili illusioni e di speranza che il corso fosse finalmente, realmente, cambiato; che il discrimine politico, etico, diremmo quasi antropologico, tra quelli che c’erano prima - che c’erano sempre stati - e quelli che avevano vinto le elezioni del 2009 lasciasse qualche traccia, qualche segno del proprio passaggio. Attesa vana: il centrodestra, con il suo ceto politico nuovo di zecca, ha mostrato i propri insormontabili limiti, primo fra tutti la mancanza di una vera mentalità “rivoluzionaria” rispetto alla gestione sclerotizzata e alla classe dirigente funzionariale che avevano ridotto la città nelle condizioni che tutti sappiamo. Un vero coma politico quasi più grave del seppur diffuso e generalizzato degrado. Quella che avrebbe dovuto rappresentare la medicina in grado di guarire la città, la scossa vitale e rivitalizzante, la terapia d’urto alla quale erano attaccate le ultime speranze dei pratesi, si è rivelata nient’altro che la solita inutile purga.
I nuovi, baldanzosi amministratori dell’era Cenni (…oh: i primi non comunisti!) hanno creduto che il ruolo affidato loro dagli elettori fosse quello di sostituire semplicemente qualche culo su qualche poltrona, magari piantare una bandierina azzurra nella mappa della rossa Toscana, far gongolare il Capo Supremo e far gonfiare il petto a qualche suo luogotenente. Come se non fosse stato evidente che lo “schiaffo” che i pratesi avevano dato alla vecchia amministrazione cittadina era soprattutto un segnale della voglia di cambiare drasticamente rotta. Di cambiare un sistema di potere con molte ombre e pochissime luci, non certo di rimpiazzarlo con un altro che si limitasse a sostituire le lampadine!
Cenni e la sua giunta non hanno saputo, o voluto, marcare una netta discontinuità con il passato. Un’inversione di tendenza rispetto al modo di intendere e interpretare la politica e il mandato popolare, rispetto alle procedure amministrative e alla morale pubblica. Segnali chiari, forti e a costo zero che, per inesperienza, per paura o per scelta, non sono stati in grado di lanciare.
Il fallimento della “primavera Cenniana”, comunque vada a finire questa legislatura, è indubbio e certificato. Non tanto dal venir meno di una maggioranza consiliare sulla cui perdita di pezzi qualche intelligentissimo dirigente pidiellino dovrebbe interrogarsi, ma dalle aspettative deluse, dall’occasione mancata, forse irripetibile, di un reale cambiamento.

1 commento:

  1. Il fallito è il vostro amico Banchelli che si dovrebbe ricordare che è stato eletto consigliere col premio di MAGGIORANZA.

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