23 febbraio 2006

Vota Antonio, vota Antonio...




A pochi giorni dalla presentazione delle liste per le elezioni politiche si fa sempre più deprimente lo spettacolo offerto dai partiti. Ogni giorno leggiamo dello squallido balletto delle poltrone, della caccia sfrenata alle medesime, dell'iperattivismo che solo in questa circostanza contagia tutti i parlamentari uscenti e quelli, meschini, che vorrebbero essere "entranti".
Al tempo della bistrattata prima repubblica i mille parlamentari nazionali erano, salvo rare eccezioni, il frutto di una lunga e severa selezione: alle massime cariche rappresentative si giungeva dopo anni di sana gavetta, di studio e di sacrifici. Insomma gli eletti rappresentavano davvero il meglio che i partiti potevano esprimere. Cosicché nessuno, o quasi, si lamentava se rimaneva fuori a scapito di qualcuno obiettivamente più capace.
Oggi, in epoca di Grandi Fratelli e Isole dei Famosi, la scelta di molti candidati e conseguentemente di molti eletti, assomiglia sempre più a un pessimo reality show, nomination comprese. Lo smantellamento di ogni minimo criterio meritocratico ha prodotto un risultato che è sotto gli occhi di tutti: una classe politica alla quale non affideremmo l'amministrazione del nostro condominio.
Apriamo questo post per accogliere commenti, idee e riflessioni sui candidati, o aspiranti tali, alle prossime elezioni.

08 febbraio 2006

Antifascisti.

E’ apparso in questi giorni sui muri delle nostre città un manifesto dei Comunisti Italiani davvero stimolante. Si tratta di un primissimo piano della faccia di Diliberto accompagnato da una sola scritta a caratteri cubitali: “Antifascisti”.
Niente di nuovo, si penserà. E per certi versi è proprio così: che bisogno c’è di ribadire un concetto che è non solo chiaro a tutti, ma anche indifferente ai più? Come se Papa Ratzinger scrivesse “cristiano” sotto le sue fotografie.
Allora perché questa stucchevole retorica resistenziale? Diliberto sembra voler dire: si, è vero, abbiamo i nostri piccoli difetti, ma siamo antifascisti e questo ci assolve. Abbiamo per decenni lavorato al servizio di una potenza straniera nemica contro il nostro Paese, ma siamo antifascisti. Abbiamo invano tentato di trascinare l’Italia nell’orrore del regime sovietico, ma siamo antifascisti. Io Diliberto, come ministro della Giustizia, ho svenduto agli americani le sacrosante rivendicazioni dei familiari delle vittime del Cermis in cambio della liberazione della terrorista Baraldini, ma sono antifascista. Abbiamo invaso come un cancro ogni settore della società e governiamo da sempre nelle regioni rosse spolpando le casse pubbliche a vantaggio delle consorterie politiche di sinistra, ma siamo antifascisti. Ci presentiamo alle elezioni in una coalizione senza programma, divisa su tutto, che raccoglie il peggio dei cocci della prima repubblica, ma siamo antifascisti.
L’antifascismo come patente di rispettabilità. Già nel primo dopoguerra questo espediente consentì a molti comunisti di andare in parlamento anziché in galera come meritavano. Assassini, ladri, stupratori, spie, nemici dell'Italia. Abbiamo fatto la resistenza, dicevano, e giù applausi!
E invece a noi pare che nell’operazione del PdCI di rispolverare i cimeli di famiglia ci sia qualcosa di diverso dal solito. Perché è diverso, tanto per dirne una, il contesto storico. Oggi TUTTI si definiscono antifascisti. Lo fa persino Fini. Lo fa persino la Lega che nei confronti degli agitatori comunisti dei centri sociali mobilitati per impedire al “fascista” Borghezio di parlare, usa senza mezzi termini la definizione di “squadrismo fascista”!
Forse il tentativo vero è quello di mettere una pietra tombale su quell'embrione di revisione storica che sta faticosamente venendo alla luce. Il messaggio è chiaro: l'antifascismo non si tocca! La storia l'abbiamo scritta noi e così deve restare. Almeno fino a quando intellettuali e politici, anche di destra, ci consentiranno con il loro vile perbenismo di farlo.

01 febbraio 2006

Lo spinello del Presidente.




Si, proprio lui: il padre del decreto sulle tossicodipendenze, del giro di vite sullo spaccio ma anche sul consumo degli stupefacenti. Di tutte le droghe: pesanti, leggere e così-così.
Tu quoque Bruto?
L'ammissione di Gianfranco Fini di essersi fatto in gioventù (...insomma a 31 anni!) una bella canna, ha scatenato un putiferio. Ci sono state scene di isteria all'interno del suo partito. "Fini? Roba da matti!". Per qualche suo immarcescibile sostenitore è stato un vero e proprio colpo. Come scoprire che Rosy Bindi ha girato un film porno.
E poi, scusi Presidente, perché sbandierarlo ai quattro venti? Proprio alla vigilia della campagna elettorale. Un colpo basso. Meglio glissare, no? Vizi privati e pubbliche virtù. Come quella bella faccia di tolla di Rutelli che a identica domanda ha risposto: "No, mai fatto canne". E lui poteva pure farsele, tra i radicali era la norma.
Ma lei quando ha trovato il tempo? E dove? In Giamaica ha detto. Con qualche amico. Ahia!
Dalla sua biografia apprendiamo che un Fini adolescente approdò a Roma e si tuffò immediatamente nell'impegno politico. A destra. MSI. In quegli anni chi militava nel Movimento Sociale era un reietto della società, un paria, un emarginato comunque e dovunque. Difficile frequentare altre compagnie che non fossero i camerati della sezione missina. Sempre. Impegno e distrazioni. Militanza e cazzeggio.
Con qualche amico? Ahia!
Ce lo vediamo Fini sdraiato sotto la palma con Gasparri, Storace, Urso e chi sa chi altro: "...'a Fra', senti che robba! Falla ggirà".

Qualcuno è risalito all'anno del mitico viaggio ai caraibi: 1982.
L'anno seguente Fini diventa per la prima volta deputato. Insomma: un ragazzo!