Per cominciare, smettiamola di chiamarli clandestini. I
clandestini evocano immagini di gente che si imbarca di nascosto, che si sposta
nottetempo, lontano dai posti di controllo, infrattata astutamente o magari
stipata in mezzi e contenitori insospettabili. Il clandestino fa di tutto per
evitare di farsi vedere e una volta raggiunta la mèta del suo viaggio si
disperde silenzioso tra la folla.
Dal momento che, invece, queste migliaia di persone ce le
andiamo a prendere direttamente in Libia, usando le navi della marina militare
tristemente ridotte alla funzione di traghetti, sarebbe più giusto chiamarle
ospiti. Ospiti a carico degli italiani ai quali, ovviamente, nessuno ha mai
chiesto il parere su questa politica dell’”accoglienza” condotta dal governo e dai
suoi interessati complici.
Poi, siccome siamo pur sempre italiani, cerchiamo di far
condividere all’Europa intera il peso di questa nostra follia. Ma siccome gli
altri paesi europei non sono cialtroni come noi, non ci resta che piagnucolare
di fronte alla chiusura delle frontiere e alla presunta mancanza di solidarietà
dei partners continentali.
Cosa dovrebbero fare Francia, Austria, Svizzera, Germania e
via cantando, di fronte allo sciagurato atteggiamento italiano? Lasciarsi
tranquillamente invadere come noi? Cosa c’è di strano se di fronte ad un
pericolo reale e potenzialmente destabilizzante paesi seri adottano misure
serie? Se usano le forze armate per impedire l’invasione anziché per favorirla?
Certo, noi italiani di invasioni ce ne intendiamo. In fondo
noi siamo quelli cha hanno applaudito come liberatori coloro che ci avevano
bombardato fino al giorno prima, facendo stragi tra la popolazione civile e
distruggendo le nostre città. Siamo quelli che festeggiano come una grande
vittoria l’anniversario di una catastrofica sconfitta e di un’infamante resa.
Settanta anni fa abbiamo perduto le nostre frontiere. E la dignità di popolo.