17 giugno 2015

Frontiere.


Per cominciare, smettiamola di chiamarli clandestini. I clandestini evocano immagini di gente che si imbarca di nascosto, che si sposta nottetempo, lontano dai posti di controllo, infrattata astutamente o magari stipata in mezzi e contenitori insospettabili. Il clandestino fa di tutto per evitare di farsi vedere e una volta raggiunta la mèta del suo viaggio si disperde silenzioso tra la folla.
Dal momento che, invece, queste migliaia di persone ce le andiamo a prendere direttamente in Libia, usando le navi della marina militare tristemente ridotte alla funzione di traghetti, sarebbe più giusto chiamarle ospiti. Ospiti a carico degli italiani ai quali, ovviamente, nessuno ha mai chiesto il parere su questa politica dell’”accoglienza” condotta dal governo e dai suoi interessati complici.
Poi, siccome siamo pur sempre italiani, cerchiamo di far condividere all’Europa intera il peso di questa nostra follia. Ma siccome gli altri paesi europei non sono cialtroni come noi, non ci resta che piagnucolare di fronte alla chiusura delle frontiere e alla presunta mancanza di solidarietà dei partners continentali.
Cosa dovrebbero fare Francia, Austria, Svizzera, Germania e via cantando, di fronte allo sciagurato atteggiamento italiano? Lasciarsi tranquillamente invadere come noi? Cosa c’è di strano se di fronte ad un pericolo reale e potenzialmente destabilizzante paesi seri adottano misure serie? Se usano le forze armate per impedire l’invasione anziché per favorirla?
Certo, noi italiani di invasioni ce ne intendiamo. In fondo noi siamo quelli cha hanno applaudito come liberatori coloro che ci avevano bombardato fino al giorno prima, facendo stragi tra la popolazione civile e distruggendo le nostre città. Siamo quelli che festeggiano come una grande vittoria l’anniversario di una catastrofica sconfitta e di un’infamante resa.
Settanta anni fa abbiamo perduto le nostre frontiere. E la dignità di popolo.