29 aprile 2013

Quando i "fascisti" erano al governo.

Non che ci faccia piacere dire "l'avevamo detto", ma basta andarsi a rileggere gli articoli di qualche anno fa per rendersi conto di quanto vedevamo lontano. Quando, in tempi non sospetti, denunciavamo il rischio di una deriva neo-centrista della politica italiana. Un levarsi di scudi, più o meno crociati, in difesa del moderatismo, del politicamente corretto, della navigazione di piccolo cabotaggio.
Vedevamo in certe manovre delle forze politiche più rappresentative il disegno di resuscitare una nuova "balena bianca", un corpaccione molle e deideologizzato all'interno del quale le differenze si annullano, i contrasti si mediano, i conflitti si scongiurano. Una democrazia cristiana del terzo millennio, che gestisca l'esistente senza scossoni, senza disturbare i poteri cosiddetti occulti e che tenga ai margini della vita istituzionale del paese sia la destra che la sinistra. Quelle ali, cioè, che pur non essendo più estreme da decenni, rappresentano, con il loro residuo carico di "rivoluzione", l'alibi alle peggiori spinte accentratrici verso i porti sicuri della conservazione.
In questo scenario si colloca la "demissinizzazione" del parlamento e dell'esecutivo iniziata con la follia di Fini e portata a compimento con le ultime elezioni. Gli eletti del PdL provenienti dall'area ex aenne, sia alla camera che al senato, si contano sulle dita di una mano. Aggiungendoci lo sparuto gruppetto dei Fratelli d'Italia non arriviamo alla ventina. Una ben misera fine per chi appena dieci anni fa raccoglieva il quindici percento dei voti, eleggeva centinaia di parlamentari e forniva al governo quattro o cinque ministri. Una fine che solo in parte può essere imputata all'eutanasia della destra eseguita da Fini con il silenzio-assenso di quasi tutto il partito, ma che ha avuto inizio quando gli ex missini baciati in fronte da un insperato consenso (e da agognate fortune personali) si sono messi di buona lena a recidere le proprie radici. Abiura dopo abiura non è rimasto loro che essere omologati; chi l'ha fatto per il vitalizio, chi perché "tiene famiglia", chi perché altrimenti inabile a svolgere qualsiasi altra professione. E così la destra non è più rappresentata nel parlamento italiano e gli elettori di destra evitano accuratamente le urne.
Sembra passato un secolo da quando Pinuccio Tatarella, vice-presidente del consiglio nel primo governo Berlusconi, metteva in imbarazzo i tecnocrati europei che si rifiutavano di stringergli la mano e rafforzava in noi lo spirito di appartenenza. Oggi non c'è più nessuno in grado di farci provare quello stesso orgoglio.

24 aprile 2013

Addio a Teodoro Buontempo. Se ne va un altro pezzo della nostra storia.


Grazie Teo per averci dato il privilegio di condividere gli ideali che ci hanno illuminato. Per la passione, il coraggio e l'onestà che hai dimostrato ad amici ed avversari. Per l'esempio insostituibile che hai dato a migliaia di giovani militanti.
Il Cerchio ti ricorda con questa bella immagine che ti ritrae significativamente accanto a Luciano Laffranco, un'altra delle guide che hanno segnato la nostra giovinezza, e che rafforza il rimpianto per quella destra alla quale abbiamo dedicato la nostra vita e che oggi non esiste più.

19 aprile 2013

Qui rinale.

Siamo alla follia. Alla manifesta sindrome di schizofrenia.
Ci è toccato di vedere un autorevole esponente del PD, candidato dagli organi decisionali interni alla presidenza della repubblica, impallinato dai grandi elettori del suo stesso partito. Schifati da tale designazione manco si fosse trattato, che so, di Dell'Utri. Mentre abbiamo visto i parlamentari del centrodestra, compatti, riversare entusiasti i propri voti sul poveretto manco si fosse trattato, che so, di Berlusconi.
Ci è toccato vedere elettori e iscritti del PD in piazza mobilitarsi contro l'elezione di uno dei loro alla carica più alta del Paese. Alcuni iscritti di antica data, in un agitar di cateteri e digrignar di dentiere, minacciare di bruciare la tessera. Dimentichi del fatto che a quei tempi là, ciò che decideva il partito e il suo segretario era legge e non si discuteva.
Abbiamo visto giovani parlamentari del PD - nominati, non eletti - farsi pubblico vanto di aver contravvenuto le disposizioni del partito che ha regalato loro l'accesso alla tanto agognata casta.
Perché è evidente che per tutti quelli che si sono abbeverati alla fonte dell'odio negli ultimi vent'anni, l'obbiettivo non è quello di indicare un presidente della repubblica di alto profilo in grado di raccogliere il massimo dei consensi e di condivisione. No, l'importante è eleggere un presidente che stronchi Berlusconi, che sia dichiaratamente suo nemico, che lo tolga dalle future competizioni elettorali. Tanto per ricordare a tutti che la discriminante nei confronti della gente di centrodestra non è politica, ma bensì antropologica. "Non siam mica tutti uguali" ha tuonato Bersani in una delle sue ultime apparizioni come leader del PD, rispolverando l'innato complesso di superiorità della sinistra. Una sinistra che come sempre vuole il potere anche senza avere i voti. Col Caimano? Mai! Con Grillo? Piuttosto la morte! Fateci governare, voi dateci solo i voti in parlamento e non ci rompete i coglioni!
E in questo desolante scenario dal centrodestra non è arrivata manco l'indicazione di un candidato di bandiera. Il vuoto assoluto. Come se non esistesse nell'area culturale e politica di riferimento nessuno all'altezza di personaggi del calibro di Marini o di Rodotà.
E allora prepariamoci con rassegnazione alla presidenza Prodi, un uomo salutato dalla standing ovation dei grandi elettori del PD, osannato dai grillini anti-euro e anticasta, dai renziani rottamatori a corrente alternata, dai rifondatori comunisti che già una volta l'hanno sfiduciato e da tutti i tifosi della curva che gli chiedono solo di abbattere il cavaliere.
Con buona pace dell'Italia vera, degli italiani e della loro drammatica situazione.