31 marzo 2010

Una brillante sconfitta.

A bocce sufficientemente ferme, con una certa insistenza molti amici mi chiedono un mio commento sui risultati delle regionali particolarmente in Toscana e nella provincia di Prato. Chi segue questo blog avrà sicuramente notato che non mi sono occupato nella maniera più assoluta di questa campagna elettorale. Da tempo ormai ho smesso di appassionarmi allo squallore della politica "praticata" e quindi anche alle sorti dell'ennesimo "agnello sacrificale" che il centrodestra ha voluto offrire al regime cattocomunista della nostra rossa regione. Una semplice osservazione però mi permetto di fare, di tipo "ragionieristico" direi quasi: il PdL, che esulta per un risultato che a livello nazionale può essere considerato più che positivo, in terra di Toscana ha veramente poco da festeggiare. In tutta la provincia di Prato raccoglie 29.602 voti, mentre alle regionali del 2000 i due partiti che poi si sono fusi nel PdL rastrellavano, rispettivamente, AN 20.034 e FI 25.643. In dieci anni i voti sono quasi dimezzati. Così come nel riepilogo regionale i voti sono passati dai 690.509 del 2000 ai 412.118 di questa tornata. Un vero disastro. Un patrimonio elettorale disperso, dilapidato. Certo, diciamolo, nel 2000 la situazione era diversa: c'erano altri partiti, c'erano altri candidati, c'era ancora il voto di appartenenza, c'erano le preferenze. Poi, nel frattempo, Confindustria, qualche banca e qualche loggia hanno rovesciato a Prato una sclerotica sinistra al potere da sempre. E' vero. Ma le responsabilità della classe dirigente del centrodestra toscano, inamovibile, autoreferenziale e parassita sono più che evidenti.
Ma, siamo certi, nessuno pagherà il conto.

18 marzo 2010

L'altro mondo.

di A. De Benoist

“Nessun mondo” scrive Philippe Muray, “è mai stato più detestabile di quello attuale”. Ma qual è dunque questo mondo? Dopo l’affondamento del sistema sovietico, si è passati da un mondo diviso in due blocchi a un mondo dominato da una sola potenza, che tenta di imporre la sua legge al pianeta intero. Virtualmente, questo mondo non sarebbe altro che un villaggio globale, dove il progresso economico, dal quale si suppone tutti possano trarre giovamento, accrescerebbe l'ineluttabile evoluzione verso un modello politico, la democrazia liberale rappresentativa, della quale gli Stati Uniti d’America costituirebbero il modello più completo. Alla fine, il mondo diverrebbe un vasto mercato popolato da semplici consumatori, sottomessi di volta in volta all'ordine marciante. Il capitalismo si è deterritorializzato. I raggruppamenti industriali infine hanno dato luogo alla formazione di società transnazionali, i cui bilanci superano di gran lunga quelli dei singoli paesi. Allo stesso tempo, le nazioni sono state invitate ad abolire le loro barriere doganali, ad aprire le loro frontiere alle persone ed ai capitali, a favorire con ogni mezzo la " libera circolazione " dei prodotti e dei beni. Questo è il senso primario di una globalizzazione che supporta la volatilità dei mercati, le delocalizzazioni, la ricerca permanente di una maggiore produttività, la reificazione generalizzata dei rapporti sociali. Questo sistema è fondato sulla trasformazione di tutte le attività viventi in mercantili. Nel mondo del mercato, la legge suprema è la logica del profitto, legittimato da un’antropologia che fa dell’individuo un essere avente il cui obiettivo permanente è la massimizzazione del proprio interesse. La sottomissione progressiva di tutti gli aspetti della vita umana alle esigenze di questa logica destruttura il legame sociale. I media uniformano i desideri e le pulsioni, al prezzo di una radicale desimbolizzazione degli immaginari, produttori di una falsa coscienza, di una coscienza alienata. È esattamente questo il mondo in cui viviamo. Un mondo che ha abolito le distanze e il tempo, dove il capitalismo finanziario non è connesso all'economia reale (la maggioranza degli scambi di capitale non corrispondono più agli scambi di prodotti), dove l'economia reale si sviluppa senza considerazione dei limiti, dove le passioni si riducono agli interessi, dove il valore è ribassato sul prezzo, dove i bambini stessi divengono dei beni (e degli utili) di consumo durevole, dove la politica è ridotta alla porzione congrua, dove i detentori di potere non sono più eletti e dove coloro che sono eletti sono impotenti. Un simile mondo non minaccia soltanto la vita interiore, le identità collettive, la diversità dei viventi. Esso minaccia l'umanità propria dell’uomo. Per contrapporsi alla miseria affettiva ed agli stress materiali che ne risultano, la Forma-Capitale usa strategie differenti. Da un lato, crea senza interruzione nuovi bisogni, moltiplica le distrazioni e i divertimenti, propaga l'idea che non esista felicità se non in un consumo il cui orizzonte è continuamente riposto più lontano. Dall’altro lato, il suo pretesto di lottare contro il “populismo”, il “comunitarismo”, il “terrorismo”, rafforza le procedure di controllo e di sorveglianza. Si restringono le libertà con il pretesto della sicurezza. Per smorzare la portata dei movimenti sociali, per distogliere la gente dal porsi domande, per disarmare le nuove “classi pericolose” e rendere inoperante la loro velleità di rivolta, crea nemici onnipresenti, demonizzabili a piacimento, strumentalizza i conflitti culturali e gli urti tra comunità. Come sempre, si divide percomandare. L'obiettivo è quello di instaurare tutto ciò che crea caos per continuare a regnare senza alcuna minaccia. (....)