Cala il sipario. Dopo quattro anni di lunga, lentissima
agonia, è morta a Prato la prima amministrazione comunale non di sinistra dal
dopoguerra. Probabilmente anche l’ultima.
Quattro anni di inutili illusioni e di speranza che il corso
fosse finalmente, realmente, cambiato; che il discrimine politico, etico,
diremmo quasi antropologico, tra quelli che c’erano prima - che c’erano sempre
stati - e quelli che avevano vinto le elezioni del 2009 lasciasse qualche
traccia, qualche segno del proprio passaggio. Attesa vana: il centrodestra, con
il suo ceto politico nuovo di zecca, ha mostrato i propri insormontabili
limiti, primo fra tutti la mancanza di una vera mentalità “rivoluzionaria”
rispetto alla gestione sclerotizzata e alla classe dirigente funzionariale che
avevano ridotto la città nelle condizioni che tutti sappiamo. Un vero coma
politico quasi più grave del seppur diffuso e generalizzato degrado. Quella che
avrebbe dovuto rappresentare la medicina in grado di guarire la città, la
scossa vitale e rivitalizzante, la terapia d’urto alla quale erano attaccate le
ultime speranze dei pratesi, si è rivelata nient’altro che la solita inutile
purga.
I nuovi, baldanzosi amministratori dell’era Cenni (…oh: i
primi non comunisti!) hanno creduto che il ruolo affidato loro dagli elettori
fosse quello di sostituire semplicemente qualche culo su qualche poltrona,
magari piantare una bandierina azzurra nella mappa della rossa Toscana, far
gongolare il Capo Supremo e far gonfiare il petto a qualche suo luogotenente.
Come se non fosse stato evidente che lo “schiaffo” che i pratesi avevano dato
alla vecchia amministrazione cittadina era soprattutto un segnale della voglia
di cambiare drasticamente rotta. Di cambiare un sistema di potere con molte
ombre e pochissime luci, non certo di rimpiazzarlo con un altro che si
limitasse a sostituire le lampadine!
Cenni e la sua giunta non hanno saputo, o voluto, marcare
una netta discontinuità con il passato. Un’inversione di tendenza rispetto al
modo di intendere e interpretare la politica e il mandato popolare, rispetto
alle procedure amministrative e alla morale pubblica. Segnali chiari, forti e
a costo zero che, per inesperienza, per paura o per scelta, non sono stati in
grado di lanciare.
Il fallimento della “primavera Cenniana”, comunque vada a
finire questa legislatura, è indubbio e certificato. Non tanto dal venir meno
di una maggioranza consiliare sulla cui perdita di pezzi qualche
intelligentissimo dirigente pidiellino dovrebbe interrogarsi, ma dalle
aspettative deluse, dall’occasione mancata, forse irripetibile, di un reale
cambiamento.