06 luglio 2015

La rabbia e l'invidia.


Sono due gli stati d’animo che ci ha procurato il referendum greco ed il suo (quasi) scontato esito. La rabbia è quella relativa al fatto che, a meno di accordi a sorpresa fuori tempo massimo, la Grecia l’ha messo in saccoccia un po’ a tutti noi. Cari amici greci, facile dire non pago i debiti. Facile e anche comprensibile, almeno dal vostro punto di vista. Da anni denunciamo la colossale, epocale, manovra speculativa dell’internazionale mondialista-finanziaria ai danni dei paesi più deboli della cosiddetta unione europea. Da anni invochiamo una via d’uscita dalla trappola mortale della moneta unica. Ma fa un po’ rabbia – permettete? – pensare che il debito non onorato da voi lo dovrò giocoforza pagare in parte anche io. Di tasca mia.  Perché i miliardi che non restituirete all’Italia me li faranno cacciar fuori – e se lo faranno! – con nuove tasse, una tantum ad altre cosucce del genere. Fa un po’ rabbia – permettete? – pensare che per qualche anno la pensione ai sessantenni greci la pagheranno gli italiani costretti a lavorare fino ai settanta. Fa un po’ rabbia – permettete? – pensare che l’aumento dell’Iva che i greci hanno bocciato lo subiremo noi italiani con il conseguente aumento dei prezzi di beni e servizi.
Ma l’Italia, si sa, fa sempre tutto quello che le ordina l’Europa. Senza ovviamente sentire l’opinione degli italiani.
Per questo c’è anche tanta invidia. Per come i greci hanno potuto liberamente decidere il proprio destino. Perché hanno potuto usare, loro che sono gli inventori della democrazia, lo strumento più democratico che esista. Magari anche facendo scelte sbagliate, ma scegliendo, senza farsi indicare da oligarchie e poteri stranieri quale sia la strada da percorrere.
Una cosa impensabile nell’Italietta demoresistenziale. A noi rimane solo la speranza. Che la Grecia non si rimangi l’esito referendario e dimostri ai popoli che c’è vita fuori dalla zona euro. Che c’è ancora aria respirabile fuori dall’asfissiante unione economico-burocratica.
La speranza che le nazioni riconquistino la loro sovranità e che il popolo torni ad essere, come in Grecia, protagonista e non più suddito.