29 dicembre 2010

Quattro domande per il nuovo anno.


di Marcello Veneziani

Ho trovato divertente il finto scoop sul finto agguato al finto leader, il presidente GianFitzgerald Fini. Dopo la finta indignazione aspettiamo ora la finta rivendicazione dell’attentato, e magari il finto arresto, così completiamo il circolo della finzione. Io però vorrei tornare alla realtà per capire cosa c’è di vero e di vivo nella destra di oggi, dopo un anno terribile che l’ha decapitata, lacerata e mozzata. Dico la destra, non il centrodestra nel suo complesso, non il Pdl berlusconiano. Ne ricostruisco la storia per capire il presente. C’era una volta una destra piccina ma compatta, che però riduceva la più ampia e più variegata destra al piccolo mondo missino, animato dalla nostalgia e da un radicalismo politico, etico e ideologico tipico di chi vuol testimoniare un’idea e un’appar­tenenza, senza modificare la realtà. In quel tempo c’era una fiorente galassia di piccoli giornali, riviste, aree che si definivano di destra. Poi venne la mutazione necessaria e salutare in un partito di destra più ampio e meno retrospettivo, chiamato Alleanza nazionale. Un partito che non seppe darsi contenuti all’atto della svolta, ma compì un salto nel tempo e nel modo di pensare la politica. Il suo ruolo nell’ambito del centrodestra non fu mai egemone ma via via decrescente; fino a diventare quasi irrilevante sul piano politico, culturale e pratico. L’omologazione di An andò di pari passo con l’insofferenza crescente del suo leader verso Berlusconi, fino a remare contro (ricorderete le elezioni del 2006). Divenuto ormai un pallido clone di Forza Italia, incapace di bilanciare il ruolo della Lega, avvertendo un’imminente emorragia di consensi, An si sciolse come burro e confluì nel Pdl, metà soddisfatto e metà malvolentieri. Vinte le elezioni, incassati i dividendi e gli incarichi, a cominciare dalla presidenza della Camera, avviò la marcia contro Berlusconi. La sua operazione ha avuto un sostegno mediatico senza precedenti, branchi di lupi si sono raggruppati per attaccare il governo: giornali, cortei, partiti, lobby, poteri. Però dopo la sconfitta del 14 dicembre i lupi si sono dispersi o sono rientrati nelle loro ta­ne. E i fuoriusciti finiani hanno dovuto rinunciare pure al racconto consolatorio che stavano dando vita a una destra nuova, autonoma e moderna, perché sono finiti come una costola di quel che resta della vecchia dc, sotto la leadership di Casini, al fianco di Rutelli, La Malfa e Lombardo (baciamo le mani). Certo, la polverizzazione della destra è avvenuta di pari passo con la mortificazione della sinistra. E tutto questo è accaduto per un paradosso: il passaggio dal bipolarismo al tentato bipartitismo ha prodotto la scomparsa della destra e della sinistra. Per la prima volta nessuna formazione politica in Parlamento si definisce apertamente di destra o di sinistra. Veltroni liquidò la sinistra, facendo nascere il Pd e azzerando la sinistra. E Fini ha completato l’opera sull’altro versante, liquidando la destra in tre mosse: scioglie An, sfascia il Pdl e convoglia i residui del Fli nel terzo polo. Entrambi incolpano il berlusconismo del duplice omi­cidio, ma si tratta di due suicidi. Ora si pone un problema: fallito il Fli, cosa resta della destra in Italia? Vedo singoli, a volte rispettabili, politici che provengono da quella storia e fanno il loro mestiere. Vedo frammenti, piccole fondazioni che ricalcano gli ultimi scampoli delle vecchie correnti di An, ma non c’è un soggetto che le coordini, non un’area, non un giornale, una rivista, una fondazione, una cabina di regia che dentro il centrodestra costituisca il suo riferimento. Il nulla. Allora pongo alcune domande finali ai signori di destra, di vertice e di base, elettori inclusi. Vi sta bene così? Ritenete che la destra abbia ormai esaurito la sua missio­ne storica e politica e che altre debbano essere oggi le fonti della politica e , se posso permettermi di sapere, quali? Preferite riconoscervi dentro un gran contenitore e poi ciascuno coltiva private predilezioni e civetterie? Siete in attesa vigile sotto coperta e aspettate di riaffiorare quando finirà questo ciclo e allora giocoforza da qualche punto fermo bisognerà parti­re? Rispondete a vostra scelta a solo una di queste domande. Qualunque sia la risposta sarà benvenuta, perché vorrà dire che nel frattempo non vi siete liquefatti o assiderati. P.S. Per tornare a divertirci come all’inizio, ripenso al finto incontro del finto leader con una sedicente escort. La storia mi sembra finta per tante ragioni, ma per una sopra tutte: mai Fini andrebbe con una donna di nome Rachele. Il suo antifascismo gli impedirebbe di imitare il creatore del Male Assoluto.

14 dicembre 2010

E ora dimettiti, merda di un uomo!


















314 a 311.
La Camera rinnova la fiducia a Berlusconi. Contro tutti i pronostici, contro tutta l'accozzaglia demo-comunista, contro i poteri forti italiani. Ma soprattutto contro quei vermi cultori dell'8 settembre perpetuo che rispondono al nome di fillini.
Se il cognato di Tulliani avesse un minimo di dignità dovrebbe ritirarsi dalla vita politica. Ma figurati...

12 dicembre 2010

Ipocrisia.

di Marcello Veneziani

Che differenza c’è tra il figlio del caposcorta di Veltroni assunto all’Atac quando era sindaco Veltroni e il figlio del caposcorta di Alemanno assunto all’Atac quando è sindaco Alemanno? Un abisso. Il primo è ordinaria amministrazione, il secondo è una vergogna e Alemanno deve dimettersi.
Che differenza c’è tra un deputato eletto nelle liste del Pdl che cambia partito e ritira la fiducia al premier a cui era abbinato e un deputato eletto nelle liste dell’Idv che cambia partito e fa il percorso inverso al suo collega? Un abisso. Il primo è un eroe ravveduto, il secondo un infame traditore. E se dietro all’uno come all’altro si può supporre che ci sia un interesse personale (garantirsi un futuro incerto con seggi, incarichi, prebende), il primo resta un incensurabile politico, il secondo è un corrotto da destinare alla gogna e al tribunale.
E ancora. Che differenza c’è tra un direttore del Tg1 che spende 7mila euro al mese di spese di rappresentanza e un direttore del Tg1, suo predecessore, che ne spendeva ventimila al mese per una suite? Un abisso, il primo è un delinquente da cacciare e da censurare in azienda, in commissione di vigilanza, in tribunale e in comitato di redazione; il secondo è un galantuomo che doveva pur trovarsi un tetto per esercitare il suo mestiere.
Gli esempi potrebbero andare all’infinito, tra parenti di politici di sinistra sistemati nelle pubbliche amministrazioni e poi parenti di politici di destra che hanno goduto degli stessi privilegi. Se davvero fossimo tra persone oneste, quelli di sinistra che pagano di tasca propria le loro opinioni dovrebbero indignarsi soprattutto con quelli di sinistra che campano alle spalle loro; e viceversa quelli di destra. Invece la Repubblica dei disonesti lancia giudici, gogna e condanne per quelli di destra che imitano i loro predecessori di sinistra e si adeguano all’andazzo. Ma esonera i predecessori.
Questa campagna contro la corruzione fa vomitare. Non ho altre parole per riassumerla meglio. Mi vergogno per loro. Ma chi va con Fini, dicono, crede a una destra moderna e democratica? Non vi sfiora il dubbio che chi vota Berlusconi preferisca responsabilmente il governo in carica a una crisi al buio? Ma no, è solo un servo pagato. Voi che tenete tanto alla Costituzione, non è uno strappo alle sue regole negare il governo a chi è stato eletto dal popolo o lasciare che il presidente della Camera agisca anche da capo fazione e voglia sfasciare il governo? Che schifo. Disonesti ce ne sono sempre stati, ma la novità dei nostri giorni è che i disonesti hanno il monopolio dell’Onestà.
Dai giornali di questi giorni sembra che da pochi mesi si sia imposto in Italia uno spregevole malcostume: il clientelismo, il nepotismo, la corruzione, il mercato dei voti, il trasformismo. Tutte malattie sconosciute a questo sano e onestissimo Paese, importate da Berlusconi, dai leghisti e addirittura dagli ex-fascisti. Intendiamoci, i fascisti andati con Fini sono fior di galantuomini redenti perché il loro codice d’onore prevede al punto uno, anzi unico: sfasciare Berlusconi e il suo governo, pentirsi di aver vissuto per tutti questi anni con quel leader, con quel programma, e di essere stati perciò eletti, diventando perfino maggioranza e forza di governo (chi l’avrebbe mai detto, camerati). Ora, si sa bene che la corruzione non nasce con la destra al governo o con Berlusconi e nemmeno con la sinistra, a essere onesti. C’era già dai tempi della Dc e anche prima. Anzi se volete l’onestà estrema, l’unico periodo in cui la corruzione non prevalse sull’onestà e il merito fu durante il fascismo. Scoccia dirlo ma è così. Ma qualcuno è disposto a rinunciare alla libertà e alla democrazia e beccarsi un regime autoritario per avere onestà ed efficacia, meno mafia e più opere pubbliche, meno ladri e più politica sociale? No, e allora il discorso si chiude lì, torniamo al presente. Dunque, che famo? Colpiamo la corruzione in sede penale, il malcostume in sede civile e culturale, il clientelismo in sede politica, ma evitiamo di stabilire teoremi ideologici e razzismo etico: non c’è la razza dei corrotti a destra e degli incorrotti a sinistra. La responsabilità è personale e si proceda caso per caso e non secondo razza.
Sul malaffare a destra, lasciatemi invece dire una cosa: sconforta sapere che i «propri» eletti non sono migliori degli altri, si adeguano agli standard di potere precedenti, Dc e sinistra. E non c’è nemmeno l’alibi consolatorio per dire: sì sul piano clientelare e nepotistico agiscono come gli altri, ma almeno lasciano segni mirabili in altri campi, impronte di grandi imprese, esempi fulgidi, simboli, idee e principi finora calpestati. No, è tutto così scarso, dappertutto.
Poi vedi quel che scrivono i giornali, quel che dice la partitocrazia, quel che fanno i magistrati, vedi quella disonestà cieca, unilaterale e militante che stabilisce chi sono i corrotti e chi gli esonerati, e sei costretto a preferire i mali minori, e a chiedere perfino l’arbitrato di Mastella. Italia, ora pro nobis.

07 dicembre 2010

Il vero scandalo è il presidente della Camera.

di Giancarlo Perna

Ogni giorno c’è una polemica scema. Verdini è preso di mira per una parola di troppo, dandogli un’importanza che non ha. Poi, sono gli stretti legami del Cav con Mosca e Putin a indignare gli ex comunisti che idolatravano la Mosca di Stalin. E giù una grulleria via l’altra. Nessuno però si accorge dello scandalo vero sotto gli occhi di tutti: l’indegnità costituzionale, politica e morale di Gianfranco Fini a presiedere la Camera.
La prevaricazione di Gianfry era già evidente nei mesi scorsi con la faccenda della casa, la creazione di un partito antagonista del Pdl nelle cui file era stato eletto, la guerriglia contro il governo. Ha ora raggiunto il culmine con la firma di una mozione di sfiducia che, confluendo in quella dell’opposizione, rischia di affossare la legislatura. Mai il presidente di un ramo del Parlamento si era messo di traverso con chi governa, anche a costo di dissolvere in anticipo la Camera a lui affidata.
Normalmente, uno nel ruolo di Fini è sopra le parti, si estranea dalle beghe politiche, pacifica. Gianfry ha invece sparso zizzania, sfogato gli odi, perseguito le proprie ambizioni personali. Non da semplice politico - cosa che sarebbe stata legittima anche se lo avrebbe comunque reso meschino agli occhi di molti -, ma restando incollato al trono di terza carica dello Stato. Da queste altezze ha fatto l’occhiolino a un’opposizione smarrita, l’ha incoraggiata a rianimarsi, aizzandola contro il governo con la promessa di aiutarla nella comune lotta al berlusconismo. Senza Fini, Bersani sarebbe ancora immerso nell’abulia dell’ultimo anno. Se oggi le sinistre di tutti i colori - comuniste, ex comuniste, giustizialiste - sono ringalluzzite, è grazie all’ex fascista. Questo per capire a quale Paese normale ci stiamo avviando e la bolgia in cui piomberemmo se questa bazzoffia raccogliticcia dovesse prevalere.
Fini fa salsicce della carica. Dopo di lui, la Camera non sarà più la stessa. Pensate se a Renato Schifani, presidente del Senato, venisse l’uzzolo di imitarlo. Gli sta antipatico Bersani? Domattina lo attacca, gli ingiunge di comportarsi come dice lui, dubita della sua sanità mentale, gli consiglia il ricovero nell’ospizio per raggiunti limiti di età. La Costituzione non glielo impedisce, né c’è modo di frenarlo. Tocca inghiottire. Esattamente come ora si è costretti a fare con le mattane di Gianfry.
In passato, solo Fausto Bertinotti nella scorsa legislatura gli si era avvicinato alla lontana. Incattivito contro il premier Prodi, dichiarò al Corriere della Sera che il suo governo aveva «fallito». Tutto qui. Per il resto fu un normale presidente della Camera. Molti notarono però l’infima anomalia, criticandola. Quando fu costretto a dimettersi, Prodi si tolse comunque il sassolino dichiarando che se il governo era caduto la colpa era di chi (Bertinotti, ndr) aveva fatto dichiarazioni «istituzionalmente opinabili». Una chiara accusa di tradimento del ruolo per averne violato la neutralità. Questo nonnulla, imparagonabile agli stracci fatti volare da Fini, è il precedente peggiore.
Prima dell’avvento dei pataccari, i numeri uno della Camera sentivano la dignità della carica. Pertini si dimise dalla presidenza - era il 1969 - solo perché i socialisti unificati (Psu), in rappresentanza dei quali era stato eletto, tornarono a dividersi in Psi e Psdi. «È cambiata la situazione parlamentare - disse il vecchio Sandro -, correttezza vuole che rassegni il mandato». Con questo provocò un dibattito sulla sua persona. Amici e avversari gli confermarono la fiducia e Pertini, confortato, restò al suo posto. Lo immaginate voi, Fini che chiede all’Aula di verificare la stima di cui è circondato? Sarebbe un bel vedere. Ma con tutti gli scheletri che ha in cassaforte, Gianfry si rannicchia, tiene strette le prebende e tira avanti impettito. Delle regole se ne impipa. Ha già annunciato che se gli gira, in caso di elezioni, si dimetterà per dedicarsi alla campagna elettorale. Dunque, lascerà l’Aula senza guida per oltre un mese, creando un altro sconquasso senza precedenti. Conferma adamantina dell’uso ad personam dell’istituzione che sciaguratamente incarna.
La caratteristica di Gianfry è la faccia di bronzo. Ieri, a una scolaresca che gli chiedeva le ragioni della crisi di governo, ha risposto in sintesi: «Perché un signore (il Cav, ndr) che doveva fare le cose per tutti ha pensato solo ai fatti suoi». A dirlo è lui! Lo stesso che doveva essere il geloso custode dell’appartamento monegasco ereditato da An e che lo ha invece ceduto al putto dei Tulliani a prezzi da robivecchi. Il medesimo che a furia di arroganti raccomandazioni ha trasformato la suocera casalinga in produttrice di «scemeggiati» Rai. L’identico che, creato il partitino a uso personale, si accinge a spillare quattrini agli italiani per lanciarlo nell’agone elettorale. Proprio costui osa accusare altri di usare le cariche per i propri comodi. Non vede la differenza tra sé e il Cav. Berlusca, alla luce del sole, chiede una legge per governare senza l’angoscia delle procure partigiane, come avviene altrove. Lui, all’ombra dei sotterfugi, sistema per un paio di generazioni la sua sfera privata.
Quello che stupisce, si fa per dire, è che tanti gli tengano bordone. Trascuriamo i compari - Casini, Rutelli, Di Pietro, Bersani e compagni vari - che pur di raccattarne un altro nella guerra al Cav fanno le tre scimmiette. Ma i mammasantissima che fanno? Sconcerta il presidente Napolitano, un genio nel trovare il pelo nell’uovo. Venera la Costituzione come Dante Beatrice, ma non gli esce un fiato sul vulnus di un presidente della Camera che capeggia la rivolta al governo. Idem i costituzionalisti, in genere con l’arma al piè in difesa della Sacra Carta. Quando Cossiga picconava dal Quirinale ci misero in guardia sulla sopravvivenza della Repubblica. Ed erano solo esternazioni beffarde. Ora, però, che Fini dall’alto del seggio azzoppa un governo e manda a ramengo una legislatura, tacciono. Dicono che la norma non lo vieta e fanno spallucce. Per costoro, che un presidente della Camera si comporti come Pertini o come Fini, pari sono. Allora, delle due l’una: o qualcosa non va nella Costituzione o qualcosa non funziona nelle loro teste. E che dire infine dei giudici? L’appropriazione monegasca da parte del cognatino è provata. Ma i pm non ci trovano nulla di strano e chiedono l’assoluzione. Il giudice da più di un mese si macera e non decide. Auguri e figli maschi. Intanto, noi ci dimettiamo da cittadini.