21 novembre 2005

Radici - Rubrica per chi ha la memoria corta. Cap.1

(…) Né potete venirmi a dire che la Resistenza è stata una guerra di popolo. Non stiamo celebrando il processo alla Resistenza, quella Resistenza che un giornalista abbastanza noto ha paragonato ad un panno sporco che occorrerebbe prima sciacquare per vedere che cosa ne rimanga una volta che sia stata eliminata la lordatura del sangue. Noi stiamo mettendo sul banco degli imputati – quanto meno da un punto di vista morale – gli assassini comunisti che hanno continuato ad uccidere a guerra finita! Questa è la verità: voi siete i figli degli assassini! Non vi sono dubbi: è la storia che lo dice! Voi potete cambiare nome fin che volete, ma le vostre radici affondano nel sangue degli assassinii: questa è la verità! E’ intollerabile che voi rimaniate in Parlamento! Questa è la vergogna! Ed è intollerabile che dopo quarantacinque anni non abbiate ancora fatto un esame di coscienza.

Così si è rivolto alla Camera verso i banchi della sinistra l'On.Filippo Berselli, attuale sottosegretario alla Difesa. Inutile dire che condividiamo in pieno le sue affermazioni compreso il fatto che ci sia voluto il coraggio di qualche giornalista di sinistra per sollevare una pesantissima coltre di menzogne e di omissioni. Se aspettavamo che lo facesse qualcuno di destra stavamo freschi...
Quindi un "bravo" a Berselli per le sue parole. Ah, dimenticavamo: era il 16 ottobre del 1990...

16 novembre 2005

Provocazione autoironica su una insanabile differenza. Destra, Sinistra e satira: è genetica ragazzi!


Tratto da AREA - L’abate Mendel, coi suoi fagioli gialli e verdi, non aveva mica poi tutti i torti: la genetica è tutto fuorchè un opinione. Un cavallo non sarà mai un uomo, anche se, abbastanza spesso, si è sentito di uomini che parevano cavalli, e che ragionavano come dei muli. Lo dico perchè, di questi tempi, è stata rispolverata la solita vecchia storia sul fatto che la destra non vanta comici di rango e che, sul versante della satira, si lascia bagnare il naso dalla sinistra. Mi verrebbe da chiudere l’argomento con il solito: che due maroni ‘sta storia di destra e sinistra...visto che i fessi prosperano su entrambe le rive e, anzi, traghettano dall’una all’altra con allegra frequenza. Ma, in fondo, una volta tanto, perchè non confessare come stanno davvero le cose, senza tante scuse? Berlusconi ha inaugurato la moda della geremiade ad oltranza: ce l’hanno tutti con lui, ce l’hanno tutti con noi, nessuno ci vuole bene, a noi di destra! E vabbè: nessuno ci vuole bene. E hanno ragione, ammettiamolo: noi di destra siamo cattivi da morire, abbiamo una memoria da elefanti per i torti subiti, non ridiamo delle battute sceme e ci piace fare a cazzotti coi prepotenti. Facciamo così: ci vogliamo bene tra noi. E ci basta. Poi ci sono le fidanzate e le mogli di quelli di sinistra: non ci vorranno bene, ma si comportano come se ce ne volessero. Non sarà una gran soddisfazione, ma è pure qualcosa. E, ancora, ci sono le mezze calzette: non ci vogliono bene, ma si sforzano di compiacerci, perchè hanno una paura fottuta delle nostre manone e del nostro scarso senso dell’umorismo. Neppure questa è una gran soddisfazione, ma addolcisce la solitudine delle nostre lunghe sere tetre. Oh, insomma, cosa si pretende da noi? La colpa non è nostra: è della genetica, vi dico. Quando gli antenati dei satiri della sinistra stavano a casa ad accordare liuti e tiorbe, i nostri ancestri andavano in giro a tagliare le teste dei nemici. Tornati a casa, stanchi e accigliati, spesso accadeva che, nel caso in cui il giullare diceva una mezza parola di troppo, lo accorciassero netto di un paio di spanne. A noi è rimasta un po’ di questa mania decapitereccia e ai discendenti dei giullari un peculiare senso di precarietà della propria posizione. Bisogna dire che, un pochino, a leggere i giornali, quel brutto difetto ci è proprio rimasto, se è vero che ad ogni piè sospinto ci accusano di stilare liste di proscrizione per tagliare delle teste. Ma è solo una questione genetica. Se proprio dovevano fare del cabaret, i nostri antenati preferivano fare i trovatori, i nobili guerrieri, i cantori: pareva loro più adatto, più dignitoso. Dario Fo l’avrebbero mandato a tirare calci a rovaio. E vi confesso che anche a me, quando vedo il suo nasone e la sua boccona, quando sento le sue sesquipedali cazzate, prudono, per riflesso di atavismo, le palme. Comunque, abbiamo fatto il possibile per perdere quelle brutte abitudini: abbiamo inventato il torneo, che della guerra è solo la parodia e, più tardi, lo sport, che ne è la metafora. In quello siamo proprio bravini: la ragione risiede nel fatto che, abbastanza goffi nel mettere il prossimo alla gogna, abbiamo una certa qual praticaccia nel mettere alla prova noi stessi. Così, sudiamo nel fango dietro a palle ovali, pedaliamo, colpiamo pallette di pezza gialla con euforica violenza: in fondo, ci sembra sempre di tagliare teste e di sfondare usberghi. La genetica, dicevamo, non è un’opinione. Invece, provate ad immaginarvi Paolo Rossi, il comico mica il calciatore, che saltasse con l’asta o che affrontasse un avversario sul tatami: resterebbe un comico, anzi, sarebbe ancora più comico. La genetica, null’altro che la genetica, determina tutto ciò. La sinistra ha un estro innato per la pagliacciata, per il risolino sardonico, per l’arte dei guitti e dei mimi: noi non ce l’abbiamo. Cosa dobbiamo farci? Tagliarci le vene? E neppure le nostre donne possiedono la delicata capacità parodistica della Guzzanti, il garbo intellettuale della Dandini: le nostre donne, al massimo, spaccano il naso ad un teppista con una zuccata. Genetica. Dunque, amici di destra e di sinistra, abbandonate questa inutile querelle: sia dato a Cesare quel che è di Cesare. Comici, istrioni, umoristi e commentatori satirici sono e saranno sempre di sinistra; unitamente a Biagi, Santoro e a tutti gli altri granduomini televisivi. Non ci si può far nulla. Un uomo di destra non potrebbe mai corricchiare come Benigni nè esclamare di fronte a Nicoletta Braschi: “Sei bellissima” senza mettersi a ridere. Ci manca il tempo comico: rassegnamoci. Non ci resta che tenerci i nostri sport, le nostre sudate e la nostra mancanza di humour. In un modo o nell’altro ci consoleremo. Solo mi chiedo: ma che scusa inventeranno con i mariti le donne di sinistra? Mistero! O anche questa è genetica?

Marco Cimmino

04 novembre 2005

Spunti per una rivoluzione borghese.

Quanto sta accadendo in questi giorni nelle periferie di Parigi, con scontri violentissimi tra gendarmi ed immigrati, violenze e devastazioni, ci induce a qualche riflessione. La prima,scontata, è che la colpevole sottovalutazione da parte dei governi europei del fenomeno migratorio dal terzo mondo ci regalerà, inevitabilmente, una invasione di “diseredati” che verranno nei nostri paesi incazzati neri (sic) a distruggere tutto quello che trovano e a mettere a rischio la nostra sicurezza. Il solidarismo ipocrita dei governanti “politicamente corretti”, lungi dal garantire un’accoglienza insostenibile sia dal punto di vista economico che dell’impatto socio-culturale, avrà come vistosa conseguenza quella di far mettere a ferro e fuoco le nostre città. Ma questo, ci si consenta, lo diciamo da molto tempo. Invece quelli che i telegiornali continuano a definire “quartieri poveri e degradati” di Parigi, non ci sembrano, tutto sommato, molto peggio di Secondigliano o di Scampia, tanto per fare un esempio. Forse che in queste periferie italiane vive una classe di agiati benestanti poco inclini alla rivolta nelle piazze? Difficile a credersi. Allora occorrerà riflettere su quali nuove classi sociali abbia generato la fine del ventesimo secolo, giacché al mitico “quarto stato” se ne è aggiunto ormai un quinto se non addirittura un sesto. Disperati, manovrati, disposti a tutto. Saranno loro le truppe della rivoluzione globale prossima ventura? L’unica rivoluzione italiana è stata quella fascista del ventidue. Una rivoluzione incruenta, senza teste mozzate e assalti a “palazzi d’inverno”. E a farla fu la piccola e media borghesia che a differenza di quanto avvenuto nella rivoluzione francese non utilizzò il proletariato come braccio armato, ma fece leva su valori quali l’amor di Patria per far prevalere le proprie ragioni. Oggi è lecito chiedersi se esista ancora una borghesia in grado di combattere per difendere da una moltitudine di nemici il proprio stile di vita, le proprie città (i borghi, appunto) e la propria esistenza.