24 settembre 2009

Alemanno contro Casapound.



dal Corriere della Sera.

Alle 19 la fiaccolata anti-razzismo. Alemanno contro la presenza del centro sociale di destra: inopportuni.

BIPARTISAN - Un corteo che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe vedere in piazza gli interi consigli di Comune, Provincia e Regione, con una folta rappresentanza di assessori, sindacali dalla Cgil all'Ugl, parlamentari romani, ma anche adesioni di testate giornalistiche come quella de Il Secolo d'Italia. Una fiaccolata che dopo le bottiglie incendiare al centro sociale di destra «Gens Romana» vuole anche mostrare le istituzioni unite al di là delle tensioni tra poli perchè Roma non sia nuovamente teatro di scontri ideologici come avvenne negli anni '70.

LA POLEMICA - Ma il clima della vigilia è intaccato dalla polemica tra il sindaco Alemanno e il centro sociale Casapound, dopo che quest'ultimo ha annunciato la sua presenza nel corteo. «Preso atto dell'adesione di Casapound alla fiaccolata - ha detto il sindaco - penso che la loro presenza non sia opportuna e li invito a non partecipare alla manifestazione così da evitare qualsiasi interpretazione sbagliata che possa portare a momenti di tensione». E il presidente dell'Anpi Roma e Lazio Massimo Rendina annuncia: «Pensando alle manifestazioni fasciste che organizzano, mi sembra che questa scelta di Casapound abbia il sapore della provocazione. Se ci saranno loro non ci saremo noi».

IL CENTRO SOCIALE - Da parte del centro sociale arriva la replica: «Abbiamo aderito alla manifestazione perché, lungi dai buonismi di facciata, ne condividiamo filosofia e motivazioni», dice Gianluca Iannone, presidente di Casapound. «Leggiamo tuttavia dichiarazioni di sdegno nei confronti della nostra partecipazione, dichiarazioni che provengono da coloro che si autodefiniscono maestri di tolleranza. Registriamo l'appello del Sindaco di Roma. Ci sembra chiaro da che parte si trovino gli intolleranti. Non parteciperemo più all'evento perché evidentemente ne avevamo frainteso il senso: non dar voce a tutti, ma a coloro che continuano ad attaccare Casapound senza alcun fondamento di verità. È proprio vero che nel mondo degli uguali c'è sempre chi è più uguale degli altri».

22 settembre 2009

Destra e sinistra nell'era Berlusconi.

Questo potrebbe essere un tema interessante per un dibattito se qualche addetto ai lavori si prendesse la briga di organizzarlo. Certo, non deve essere facile per tutti coloro impegnati nell'alacre e sotterraneo spoil system susseguente alla vittoria di Cenni trovare un po' di tempo per parlare di queste bazzecole, ma noi ci proviamo. Consapevoli che termini come destra e sinistra in questa Italia bipolare e tendente al bipartitico trovano difficile collocazione e spesso provocano moti di sdegno nei politologi più raffinati. Ma ciò, bisogna ammettere, lo si deve principalmente a Berlusconi e alla sua "discesa in campo". Un generale "rimescolamento di carte" che ha coinvolto uomini e valori di riferimento, in un quadro dove gli uni e gli altri si sono alternati, compenetrati e confusi. Una vera e propria osmosi che agita costantemente le acque nei due schieramenti e a causa della quale, alla fine, molti soggetti appaiono, onestamente, nella "casella sbagliata".
Per rimanere nell'ambito del nostro microcosmo pratese, non possono non saltare agli occhi alcune situazioni al limite del comico. Alberto Magnolfi, ex vice-sindaco di una giunta PCI-PSI in epoca pre-tangentopoli che in era berlusconiana approda alla presidenza del gruppo regionale del PdL. Una posizione di grande prestigio e di vera e propria leadership della destra locale. Dall'altra parte Antonello Giacomelli che, dai banchi del consiglio, di quella giunta fu acerrimo oppositore. Un democristiano doc, un po' baciapile, parecchio anticomunista. Oggi, deputato PD, è considerato il vero e proprio deus-ex-machina di quello che rimane del vecchio PCI.
Solo due esempi dei tanti che potremmo fare per chiederci e chiedere: e i valori? Possibile che siano così universali da poterseli tranquillamente portare al seguito come valigie? O forse ormai destra e sinistra sono esattamente la stessa cosa e si combattono solo per la gestione del potere? O più semplicemente non esistono più valori che appartengano alla categoria della politica?
Si, daccordo, tutti esercizi di accademia che lasciano il tempo che trovano. Tempo perso. Ma, insomma, tra un rimpasto di giunta, una presidenza e un consiglio d'amministrazione...

11 settembre 2009

Un uomo solo al comando.



Tiene banco in questi giorni la dettagliata cronaca dello “scontro” tra Fini e Berlusconi. Una battaglia che secondo certi opinionisti vicini al centrodestra ha origine nel duopolio imperfetto all’interno del PdL, mentre per molti, interessati, osservatori di sinistra segnerebbe l’inizio della fine dell’era berlusconiana con conseguente apertura di una nuova fase politica.
C’è da dire che solo un pazzo o un ingenuo avrebbe potuto immaginare una situazione di pari dignità in un partito, il PdL, che ha il premier come acclamato e indiscusso presidente e leader. Fini e tutti i suoi boiardi ex-aennini non potevano onestamente pensare di tenere testa non solo al cavaliere, ma neanche allo sconosciuto Verdini, nei momenti decisionali del partito. Che poi, in realtà, corrispondono a ciò che contingentemente passa per la testa di Burlusconi. Senza bisogno di convocare organo dirigenziale alcuno. Perché così si fa nelle aziende, così si tratta con i dipendenti.
Ora Fini, dalla scuola di formazione del PdL a Gubbio, torna a reclamare “più democrazia interna”, toppando ancora almeno un paio di volte. In primo luogo perché se, come sembra, è così calato nel ruolo di super partes che la sua veste istituzionale gli impone, allora non dovrebbe ficcare il naso nelle misere questioni partitiche dei comuni mortali. Se è così convinto di essere ormai un patrimonio della nazione e non già di una parte, lasci queste basse faccende al prode ‘Gnazio o a qualche altro dei suoi ex colonnelli. Infine abbia il buon gusto di non parlare di democrazia interna quando per anni nella sua Alleanza Nazionale chi la chiedeva era, nella migliore delle ipotesi, messo nella condizione di non nuocere o più sovente costretto a fare i bagagli.
Ma del resto quello del bastone del comando è un assillo che ormai ha soltanto Fini. Nel PdL, saldamente al governo del Paese, di molte regioni e ormai anche di tantissime città, tutti gli uomini validi sono in altre faccende affaccendati: occupare posti, spartirsi prebende, costruire clientele, trombare veline, assicurarsi la vecchiaia, ecc. ecc.
Finché c’è Lui che decide per tutti chi ha voglia di perdere tempo con queste sciocchezze?

07 settembre 2009

Chel lì l'è matt!


"Chel lì l’è matt". Non usa mezzi termini il ministro delle Riforme, Umberto Bossi. Mette in un angolo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, bocciando la sua proposta di concedere il voto agli immigrati. "Come già riferito a monsignor Bagnasco anche noi vogliamo aiutarli, ma a casa loro - ha spiegato il Senatùr - se questo il presidente Fini non lo capisce è condannato a perdere altri voti" (il Giornale)

Quello che invece non capisce lo scoppiettante Umberto è che il presidente della Camera non può perdere voti. Dopo lo scioglimento di AN, infatti, il prode Gianfranco non ha più un partito da far naufragare e anche la sua collocazione dentro il PdL appare ogni giorno sempre meno percepibile. Per questo Fini esterna a briglia sciolta senza preoccuparsi delle ripercussioni elettorali. Tutto è strumentale alla sua ambizione di candidarsi come prossimo presidente della Repubblica. Se per raggiungere tale scopo, dopo aver rinnegato ideali, storia, tradizioni, babbo e mamma, deve sparare un altro po' di cazzate, cosa volete che sia?