19 febbraio 2009

Escrementi umani.



Una strada della Capitale sarà presto intitolata a Bettino Craxi. Ad annunciarlo è stato il sindaco di Roma Gianni Alemanno a margine della proiezione in Campidoglio del film-documentario "La mia vita è stata una corsa" sulla vita del leader socialista. «In consiglio comunale - ha spiegato Alemanno - si completerà a breve l'iter per intitolare una strada a Bettino Craxi. Credo sia un doveroso riconoscimento e omaggio della Capitale a uno dei più grandi leader della storia della Repubblica». «Craxi è stato un grande leader - ha detto Alemanno - che ha saputo con largo anticipo individuare l'esigenza di modernizzazione del Paese. E' stata una figura capace di scavalcare le vecchie categorie destra-sinistra. Noi del Msi condividevamo la sua ricerca della dignità nazionale e le sue scelte riformiste. Le diffamazioni e i momenti amari non sono riusciti a scalfire l'immagine di uno dei più grandi statisti dell'Italia repubblicana. Inoltre fu lui l'unico prima di Berlusconi a fare una legge su Roma capitale. Il Msi s’ispirava a lui».


SENZA PAROLE...

10 febbraio 2009

10 Febbraio.



Gino Paoli: i miei parenti finiti nelle foibe (tratto dal "Corriere della Sera" del 21 dicembre 2005).

La vita e la storia devono essere davvero più complicate di quanto si creda, se accade di scoprire quasi per caso, in fondo a due ore di conversazione, che Francesco De Gregori non è l’unico cantautore simbolo della sinistra (mai rinnegata) ad aver vissuto in famiglia i crimini compiuti dai comunisti, sul confine orientale, al finire della guerra.
Racconta Gino Paoli che «mio padre, figlio di un operaio analfabeta delle ferriere di Piombino, aveva fatto l’accademia di Livorno ed era arrivato ai cantieri di Monfalcone come ingegnere navale. Là aveva sposato mia madre, che invece veniva da una famiglia benestante, i Rossi. Io sono nato nel 1934 e ho vissuto i primi mesi a Monfalcone, poi ci siamo trasferiti a Genova. Dieci anni dopo, parte della famiglia di mia madre morì infoibata. I miei parenti non erano militanti fascisti, erano persone perbene, pacifiche. Ma la caccia all’italiano faceva parte della strategia di Tito, che voleva annettersi Trieste e Monfalcone. I partigiani titini, appoggiati dai partigiani comunisti italiani, vennero a prenderli di notte: un colpo alla nuca, poi giù nelle foibe. Mia madre e mia zia non hanno mai perdonato. Mi ricordavano spesso i nomi dei loro cari spariti in quel modo, senza lasciare dietro di sé un corpo, una tomba, una memoria. Peggio: una memoria negata. Per questo mia zia odiava gli jugoslavi; e per me è stata una bella sorpresa, da adulto, andare per la prima volta in Jugoslavia e scoprire che non erano affatto tutti così». Interviene Amanda, la splendida figlia che Paoli ha avuto dal suo amore con Stefania Sandrelli diciottenne: «Papà, ho fatto una lettura pubblica sull’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, e non hai idea di cosa abbiano commesso i nazisti...». «Sì invece Amanda, conosco bene quella storia. È atroce ma, vedi, le atrocità ci sono state da entrambe le parti. È la guerra che rende l’uomo atroce; per questo io odio la guerra. Una parte della nostra famiglia è finita nelle foibe e di queste cose per decenni non si è parlato. E la sinistra porta una responsabilità culturale, perché il partito doveva coprire la connivenza dei partigiani rossi con la strategia di Tito. Vedrai che ci vorrà un altro mezzo secolo perché le passioni si spengano e se ne parli liberamente. Atrocità hanno commesso anche gli alleati che risalivano l’Italia. Le truppe d’assalto avevano il diritto, riconosciuto per iscritto, di saccheggiare e stuprare: e le truppe d’assalto erano per gli americani i neri, per i francesi i marocchini, per gli inglesi gli indiani. Le conseguenze le hanno patite le donne italiane, finché queste truppe non si sono attendate al Tombolo, in Toscana, in un accampamento frequentato da femmine alla disperata ricerca di cibo, finché non sono arrivati gli americani ad arrestare tutti. Io stesso, Amanda, dovetti scendere dal treno che ci riportava a Genova e passare tra le macerie di Recco distrutta dal bombardamento alleato - non avevo ancora dieci anni - camminando tra due pile di cadaveri. È un ricordo indelebile».