19 giugno 2012

Una cultura di destra per una nuova politica di destra.


Quello che oggi manca alla destra per esercitare appieno “il potere politico” è una vera Cultura di Destra.
Cultura di Destra, come cultura libera e al tempo stesso cultura fortemente impegnata. Contraddizione in termini? Come affermava Giorgio Almirante, assolutamente no.
Cultura libera perché riferita ai valori dello spirito, che sono i valori della libertà; ma proprio per questo cultura fortemente impegnata nella difesa di tali valori, della civiltà che in essi si esprime, della concezione della vita che li sottende, delle testimonianze che umanamente li trasmettono, con la forza e la luce del messaggio, dall’una all’altra generazione. Mentre la nazione e la politica navigano in acque “oscure”, mentre la crisi dei vari modelli marxisti e capitalisti appare sempre più evidente, mentre i nuovi e vecchi comunisti sono sempre più democristiani ed i vecchi e nuovi democristiani sono sempre più comunisti, mentre il riflusso si fa sentire nelle coscienze dei giovani non del tutto “drogati” dalle propagande del vecchio sistema partitocratrico, il momento sembra essere venuto, perché l’attimo fuggente ci dice, se bene inteso, che questa è l’ora di “cambiare la rotta”. Quindi, una cultura di Destra, per conferire pienezza di tradizione vitale e di moderno adeguamento ad un’ispirazione politica che sembra ormai matura per diventare, o ridiventare, una scuola politica al necessario ed irrinunciabile alto livello. Il pericolo che adesso la Destra deve combattere è un altro, è lo stesso che come lo definiva egregiamente, alcuni anni fa Augusto Del Noce, “un totalitarismo che avviene per via democratica”, un totalitarismo imposto dalla finanza internazionale al servizio dei “poteri forti” extra nazionale ed accettato e sostenuto, supinamente, da una classe dirigente incapace di proporre ed attuare politiche sociali di tutela nei confronti dei propri amministrati, nell’interesse complessivo dei cittadini. Sarà esercitazione della “nostra” Destra Culturale e Politica contrastare e resistere a queste politiche, poiché da sempre libera dai condizionamenti anchilosanti dello schematismo e dunque pronta all’agilità ed all’intuito.
La tradizione della fantasia è sempre vincente, perché alla fine costringe gli schieramenti avversi a fare i conti con il fallimento delle proprie ideologie. Pure quando non appare.

5 commenti:

  1. Giugni ha fatto i primi proseliti...

    "Vent’anni fa, in una fase di crisi della politica, la cultura non allineata a sinistra conobbe una grande vitalità poi scomparsa. È ora di ritrovarla"
    di Marcello Veneziani

    "... Ma nel frattempo, la cultura non allineata a sinistra cosa faceva? No, non dormiva né si defilava, e il suo ruolo in quell’interregno non era poi del tutto irrilevante, anzi. Io vorrei ricordare che a quella strana alleanza si arrivò anche per opera di non pochi vituperati professori e non solo loro. Vi dice nulla Gianfranco Miglio nella Lega? E Domenico Fisichella nella nascita di Alleanza Nazionale? E Giuliano Urbani ma poi anche don Baget Bozzo, Marcello Pera, Lucio Colletti, Antonio Martino, Vittorio Mathieu, Saverio Vertone, Piero Melograni, Giorgio Rebuffa in Forza Italia, nella destra Paolo Armaroli, con la Lega Marcello Staglieno? Non tutti furono ornamentali, soprammobili decorativi, anzi.

    L’Italia settimanale ebbe un triplice ruolo. Risvegliò la destra prepolitica dal sonno nostalgico e dal destino di scomparsa a cui si sentiva votata, attraverso un linguaggio spigliato e un’impronta giovanile e interventista. Fu trasgressiva sia nei recuperi proibiti che nelle contaminazioni, negli incroci. In secondo luogo, cercò di mettere insieme mondi e personaggi diversi, da Giorgio Albertazzi a Vittorio Sgarbi, da Gustavo Selva allo stesso Fisichella, da ex democristiani a neoleghisti (scriveva pure la giovane Irene Pivetti), da firme storiche della destra, come Accame, Cardini, Gianfranceschi, Cattabiani, Quarantotto, De Turris, Besana, Garibaldi, Mazza, Del Ninno, Malgieri, Nistri, Solinas, Cabona, Buttafuoco a battitori liberi come Massimo Fini, Oliviero Beha e Vittorio Messori, poi Guerri, Squitieri, più vari giovani redattori.
    In terzo luogo l’Italia settimanale si prefisse anche tramite la Fondazione Italia di far nascere in una prospettiva bipolare quell’ibrida alleanza tra il versante non travolto da tangentopoli della Dc e del craxismo, il vecchio Msi e quei pezzi di società civile che si affacciavano alla politica. Invocando la discesa in campo di qualche imprenditore libero, invogliando personaggi come Berlusconi, e chiedendo al picconatore Cossiga di farsi capofila di una riforma presidenziale che coronasse la riforma di Segni (vista con scetticismo) e coalizzasse quel fronte politico. Quanto contò quella discesa in campo della cultura e del giornalismo nella nascita e nello sviluppo del centro-destra? Credo non poco: dette un’impronta di credibilità, le ragioni di una coalizione, lo smalto di un consenso giovanile (molti lettori di quei giornali furono poi i ranghi e i dirigenti locali di An, e in parte di Forza Italia e della Lega).

    Certo la politica non si nutre di cultura e letture; ma è una coincidenza che deve far riflettere se la vigorosa presenza di una cultura coincide con fasi di crescita politica e la sua scomparsa coincide con fasi di declino politico. Che sia il tempo di abbracciare la prepolitica, per uscire dalla deriva antipolitica e rifondare le basi della politica? Lo dico non certo pensando a gramscismi di destra, impraticabili e non auspicabili. E lo dico scendendo da un consolidato e assai motivato scetticismo, convinto che in momenti brutti e privi di riferimenti come questo, la cultura civile debba esercitare un ruolo, assumersi una responsabilità e perfino una provvisoria supplenza d’iniziativa, salvo ritirarsi quando è maturo il tempo della politica.

    La cultura che si riversa nella politica muore e l’intellettuale-militante è una figura malriuscita e di solito estranea a questo versante, ma la cultura che si nega sempre a ogni possibile e temporaneo compito civile, pur restando libera e radicata nel suo humus, patisce d’accidia e si vota per idealismo al cinismo. E smentisce una sua nobile indole e radice: l’interventismo.
    Anche allora, vent’anni va, vagavamo nel buio di una crisi feroce, senza sbocchi, senza leader, senza partiti..."

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  2. Marcello Veneziani
    7 settembre 2010

    "La destra è un popolo e non una setta, è una cultura e non una citazione rubata, è un disegno civile e politico e non una carriera personale, è una comunità e non una musica da Camera, un progetto di riforma dello Stato e non una riforma elettorale per sfasciare un governo e scroccare un partito."

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  3. Marcello non Mollare, grazie del ritorno...ti perdoneremo l'assenza!

    gianbanc

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  4. Patrizio Giugni26 luglio, 2012 09:33

    Ringrazio il Cerchio per l' accostamento ad un grande, mai " compreso" abbastanza negli stessi ambienti della " sana" Destra. Il mio augurio e' di poter condividere con molti altri idee e sentimenti mai rinnegati.

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  5. Massimiliano Belli19 agosto, 2012 11:33

    Un abbraccio dalla Spagna con immutato rispetto ed ammirazione.

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