22 maggio 2008

22 Maggio 1988 - 22 Maggio 2008

“E che dire del Movimento Sociale Italiano? Di questo caro partito che è qui davanti a me? Che è nato tanti anni fa e che io riconosco nei volti degli anziani ed amo nei volti dei giovani. Che dire di questo Movimento Sociale Italiano, nostra Patria, nostro approdo, nostra cittadinanza morale, nostro rifugio, nostro riparo, nostra gloria, nostra famiglia? Che dire di questo Movimento Sociale Italiano che consentì nel 1948, nel nostro primo Congresso a Napoli, a colui che io definii a ragione il nostro vertice morale, Augusto De Marsanich, di lanciare una formula memorabile: non rinnegare e non restaurare?
Se non vi fosse stato all'inizio, se non vi fosse stato nel primo nostro Congresso, e mi permetto di dire: se non fosse stato in quell'ambiente napoletano di allora, il miracolo della resurrezione morale e spirituale, e l'ancor più memorabile miracolo della resurrezione politica, quale senso avrebbe avuto, da allora in poi, la nostra stessa esistenza? Avremmo vissuto, o per dire meglio vegetato, sotto il peso della rassegnazione. Saremmo stati per sempre i vinti dello spirito, gli orfani di noi stessi. La nostra vita sarebbe stata una permanente Caporetto, un otto settembre irreversibile.
Fu il Movimento Sociale Italiano, il Movimento-famiglia, il Movimento-onore, il Movimento-nostalgia e avvenire al tempo stesso, che ci salvò dalle pesanti tentazioni della resa. Fu - ed è ancora, dopo tanta forza di anni e di eventi - il Movimento Sociale Italiano a salvarci dal limbo, più ancora che dall'inferno, in cui correvamo il rischio di precipitare per sempre.
E adesso, superata definitivamente la lunga fase grigiastra delle incertezze e delle malinconie, adesso il Movimento Sociale Italiano è per tutti noi forza e garanzia di non estinguibile vitalità.
Se avessimo pensato, quando nascemmo, se alla fine del 1946 avessimo pensato, ci fossimo proposti, di giungere al momento in cui dal non rinnegare saremmo liberamente passati all'esaltare, al celebrare, al mitizzare, all'educare apertamente le giovani generazioni al senso della Storia, avremmo dato a noi stessi dei pazzi o degli illusi.
Adesso però non dobbiamo cedere alla tentazione opposta. Non dobbiamo gettare dietro le nostre spalle la esemplare umiltà che ci ha caratterizzati e che ha costruito un valido scudo, a difesa della nostra coscienza e anche della nostra intelligenza. Abbiamo certamente compiuto un buon tratto di strada, ma la meta è ancora molto lontana. I più anziani tra noi - e io lo sono certamente, quanto ad esperienze di questo quarantennio - debbono rendersi conto che è bello lottare per gli altri, molto più bello che lottare per sé o anche per sé.
In più chiari termini, non dobbiamo pensare possibile, per noi, di toccare con mano il momento conclusivo, il momento carnale della vittoria conquistata, accarezzata, toccata con le mani dello spirito e con quelle del corpo. La nostra generazione non è destinata a tanto, ma è destinata a qualche cosa di più: è destinata a fare il lavoro dell'ape virgiliana, dell'ape operosa e umile che lavora per gli altri e per sé nulla chiede se non la dolcezza del fato che si compie e che via via va riportando il sorriso sulle labbra di chi si riteneva votato al dolore, soltanto al dolore.
E' questa la funzione, rasserenatrice, rigeneratrice, della fiamma tricolore. Il calore della fiamma e la sua luce: calore di sentimento, luce di ragione e di verità. E' questo il sereno e umile testamento spirituale degli uomini della mia età, che guardano agli ancora anziani con infinito rispetto , ai più giovani con affetto infinito.”

Giorgio Almirante
29 Luglio 1984.

1 commento:

  1. mi colpisce favorevolmente il termine "umiltà" e la speranza per le nuove generazioni. chissà che direbbe oggi.
    GB

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